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Le origini del civico acquedotto di Milano
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Scritto da MC Editrice | |||
Giovedì 23 Aprile 2020 20:46 | |||
Le origini del civico acquedotto di Milano
Marco Manunta, magistrato in pensione, autore di studi e pubblicazioni, in tema di beni comuni e diritto all’acqua, cita il lavoro di Gian Luca Lapini sulla storia dell’acquedotto di Milano per far comprendere l’importanza, o meglio, la necessità di una gestione pubblica dell’acqua, al riparo da meccanismi di profitto.
(….) Per esempio le epidemie di colera che scoppiarono a Londra nel 1849 e 1853-54, che causarono la morte di più di 20.000 persone. Ancora tra il 1870 ed il 1890 scoppiarono in Europa oltre 600 epidemie più o meno gravi, il 70% delle quali causate dall'acqua. Si tenga anche presente che nel secolo XIX le prime fondamentali scoperte microbiologiche diedero una ragione oggettiva al noto principio che legava la salute pubblica alla purezza dell'acqua e allo smaltimento dei liquami fognari. Può così sembrare strano che la costruzione del primo acquedotto pubblico di Milano sia avvenuta a partire dal 1888, piuttosto tardi cioè rispetto ad altre grandi città europee. Ciò trova qualche spiegazione nel fatto che, proprio per non essere stata costruita sulle rive di nessun grande fiume, Milano aveva sentito l'esigenza di far convergere verso di sé un'imponente rete di canali e navigli. Questi canali derivati da fiumi un tempo puliti, come l'Adda e il Ticino, costituivano una importante fonte di rifornimento d'acqua, sia per le industrie, sia per le operazioni domestiche a più intenso consumo come il lavaggio della biancheria. (….) Per l'acqua potabile, ed in genere per gli usi domestici, il rifornimento avveniva tradizionalmente da una miriade di pozzi privati, che attingevano dalla ricca e facilmente accessibile falda freatica.
Si trattava in genere di pozzi scavati, con rivestimento in mattoni, profondi non più di 6-7 metri; molto rari erano i pozzi trivellati, che raggiungevano i 12-13 metri dando ovviamente acque migliori. l'aumento degli abitanti (circa 321.000 al censimento del 1881), l'aumento delle esigenze igieniche. (….) Così alla fine di questa lunga diatriba prevalsero le modeste, ma concrete e realistiche opinioni dell'Ufficio Tecnico Comunale, in particolare del giovane ingegnere Felice Poggi, che proponeva di attingere alla falda freatica, la tradizionale fonte usata da secoli dai milanesi, costruendo però pozzi profondi, in modo da avere garanzie di purezza e salubrità dell'acqua.
In effetti, durante la costruzione dei primi due pozzi sperimentali, intrapresa nella seconda metà del 1888 nella zona dell'Arena, si constatò che a profondità di 20-30 metri degli strati compatti di argilla proteggevano la falda dalle infiltrazioni superficiali, così che alla profondità raggiunta dallo scavo (il primo pozzo fu spinto fino a 145 metri, il secondo fino a 81m), l'acqua era ottima ed abbondante. In questi pozzi l’acqua risaliva per pressione naturale fino a 3-4 metri dal livello del suolo, ed era così possibile aspirarla facilmente con delle pompe sistemate qualche metro più in basso del livello stradale, ed azionate con cinghie. All'inizio del 1889 fu di conseguenza decisa la costruzione del primo impianto di pompaggio, che fu denominato "Arena" ed entrò in servizio prima della fine dell'anno stesso Esso era alimentato dai primi due pozzi sperimentali e da altri quattro scavati nel frattempo. Il macchinario consisteva in due motrici a vapore, alimentate da tre caldaie “tipo Cornovaglia”, che azionavano, mediante grandi cinghie, due pompe alternative della portata complessiva di 140 litri\secondo. L'utilizzatore di quest'acqua fu il nuovo quartiere residenziale che stava sorgendo fra piazza Castello, foro Bonaparte e via Dante, mentre parte dell'acqua non ancora consumata andò a diluire le acque della rete fognaria dello stesso quartiere. Per regolarizzare la pressione di erogazione dell’acqua, furono costruiti due grandi serbatoi di accumulo in quota che furono “nascosti” all'interno dei torrioni del Castello Sforzesco.
La rete dell’acqua potabile divenne una sorta di fiore all’occhiello fra le varie attività volte a migliorare le condizioni di vita dei cittadini, che la municipalità intraprese negli anni di fine secolo, in quanto a differenza di altri servizi tecnici a rete, quali, l’elettricità, il gas e successivamente il telefono, fu organizzata fin dall’inizio come impresa pubblica in virtù di un carattere di necessità che, sostenevano i suoi promotori, non poteva “convenientemente affidarsi a chi ne voglia fare motivo di lucro”.
Su questa linea sono i cittadini italiani che con i due referendum del 2011 hanno cancellato sia l’obbligo normativo di privatizzazione del servizio, sia il diritto del gestore al margine di utile del 7 per cento previsto per legge.
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