Pagina 1 di 3 NUOVA LEGGE REGIONALE: PRIME QUESTIONI PRATICHE LA GESTIONE IN HOUSE
(su richiesta di alcuni amministratori locali lombardi) [si allega il testo della L.R. Lombardia n.1/2009] Dopo l’approvazione della legge regionale della Lombardia n.1/2009, contenente modifiche alla normativa in materia di servizi pubblici locali e con gli emendamenti ottenuti dai Comuni referendari, sono sorti i primi dubbi interpretativi degli amministratori locali. In particolare si pone il problema del che fare se non tutti i Comuni dell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) sono d’accordo sulla gestione interamente pubblica (mediante società “in house” – l’unica opzione consentita dalle disposizioni vigenti per la gestione interamente pubblica). Va senz’altro escluso che alcuni Comuni dell’ATO possano bloccare la possibilità di costituire la società patrimoniale e di affidare alla stessa società la gestione delle reti e l’erogazione del servizio. Rispondendo per punti, quindi:
1- Se l'obiettivo comune è la gestione in house, l'unica via consentita dalla normativa regionale vigente è quella di costituire la società patrimoniale e affidarle il servizio di erogazione (evitando, così, la separazione). Quindi, non si capiscono le perplessità delle frange minoritarie di Comuni, a meno che abbiano riserve mentali preoccupanti. 2- Andare a gara pensando di poter realizzare l'“in house” fra qualche anno, come prospettato in alcuni ATO, è una vera e propria follia. Sappiamo che dalla privatizzazione difficilmente si torna indietro: basta vedere quanta fatica fanno in Francia per tornare alla gestione pubblica, che pure è fortemente voluta. In ogni caso, anche solo fra un anno e con l'erogazione in mani private sarebbe assai difficile dimostrare l'esistenza delle condizioni poste dalla legge regionale e da quella statale (art.23 bis L.188/08) per la gestione interamente pubblica: come si potrebbe sostenere la difficoltà di ricorrere al mercato, se c'è già un privato che gestisce il servizio (e c'è da giurarci che in questo primo periodo si comporterebbe splendidamente, assicurando anche tariffe vantaggiose)? 3- Va escluso che una ristretta minoranza di Comuni possa bloccare la costituzione della società patrimoniale: per l'art.49, comma 2 (non modificato) "La gestione spetta ai proprietari nel rispetto di quanto stabilito dal presente comma. La gestione delle reti e degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali spetta alle società di cui all’art. 2, comma 1, a condizione che ciascuna di esse sia unica a livello d’ambito e vi partecipino, direttamente o indirettamente, mediante conferimento della proprietà delle reti, degli impianti, delle altre dotazioni patrimoniali e, in caso di partecipazione indiretta, del relativo ramo d’azienda, enti locali rappresentativi di almeno i due terzi del numero dei comuni dell’ambito." Quindi, per la costituzione della società patrimoniale non è necessaria l'unanimità, ma bastano i 2/3 dei comuni dell'ambito. Inoltre, in base al testo emendato (art.49 L.26/2003 modificato) la decisione di non separare l'erogazione dalla gestione e di affidare gestione ed erogazione alla società patrimoniale può essere assunta dall'Autorità d'Ambito con la maggioranza dei 2/3 (abbiamo sostenuto uno scontro durissimo con la Giunta proprio su questo punto per cancellare la prevista unanimità e per prevenire situazioni quale quella che si sta verificando in diversi ATO). 4- Se per questioni di campanile o altro alcuni Comuni ritengono di non aderire e sono meno di 1/3 del numero complessivo di Comuni, rimangano pure fuori dalla patrimoniale e dall'affidamento in house: non possono paralizzare l'iniziativa della maggioranza dei 2/3. Certo, dovranno pensare al loro futuro e, se intendono conservare la gestione in economia, nonostante il principio di unitarietà della gestione stessa in ogni ATO, dovranno farsi riconoscere come sub-ambito dalla Regione (ipotesi alquanto improbabile). 5- Con ciò sia chiaro che una s.p.a., sia pure a controllo interamente pubblico, che è titolare di beni demaniali (reti e impianti) e gestisce/eroga il servizio idrico resta pur sempre un tipo di organizzazione difficile da digerire per chi, come noi, concepisce l'acqua come bene comune. La situazione politica e normativa, però, è quella che è e con il comitato referendario ci siamo battuti per evitare guai peggiori: scongiurare l'ingresso dei privati, utilizzando un’“uscita d’emergenza” per non imboccare la via senza ritorno della privatizzazione. In conclusione, penso che non bisogna avere alcun cedimento: l'unica possibilità di gestione pubblica offerta è quella che abbiamo faticosamente strappato con i noti emendamenti. Arretrare anche rispetto a questa ipotesi organizzativa equivale ad alzare bandiera bianca su tutto il fronte. Ultima considerazione: la legge statale (art.23 bis cit.) è stata impugnata da molte regioni e la prospettiva che possa cadere in sede di controllo di costituzionalità non è inverosimile; non è, poi, detto che non venga modificato a sua volta. Mantenere, quindi, il controllo della situazioni in mani pubbliche può preservare opzioni future più favorevoli, consentite da un quadro normativo, che potrebbe risultare modificato anche profondamente. Marco Manunta, 17.03.2009
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